Ben 8 candidature all'Oscar per "A Complete Unknown" in nomination tra i migliori film e Chalamet miglior attore protagonista. Un biopic che racconta il giovane Dylan, enigmatico e inafferrabile, in un'epoca irripetibile dove la musica è anche strumento di cambiamento sociale. Ottimo Timothée Chalamet e una cura dei dettagli storici maniacale.

“Chi vorresti essere? Tutto ciò che non vogliono che io sia". Questa frase, che descrive molto bene il “personaggio Dylan” misterioso ancora oggi, è il cuore pulsante di A Complete Unknown, il nuovo biopic diretto da James Mangold e basato sul libro di Elijah Wald, Dylan Goes Electric! in tutte le sale dal 23 gennaio. Non a caso, si mormora che la sceneggiatura stessa abbia ricevuto il placet di Bob Dylan, un dettaglio che aggiunge un'aura di autenticità al progetto.
L'ultima notizia è che il film ha ricevuto ben 8 candidature al Premio Oscar. Tra queste come miglior film dell’anno, James Mangold come miglior regista, il protagonista Timothée Chalamet è tra i candidati come miglior attore.
Edward Norton è invece nominato tra gli attori non protagonisti e Monica Barbaro (Joan Baez) tra le migliori attrici non protagoniste. “A Complete Unknown” è inserito anche nella categoria migliore sceneggiatura non originale (è tratto da un libro) e in quella dei costumi originali. L’ottava nomination del biopic è nella categoria miglior sonoro.
La pellicola si concentra su un periodo preciso e cruciale della carriera di Dylan: i suoi esordi come ambizioso folksinger, armato solo di una valigia piena di canzoni e idee capaci di scuotere il panorama musicale e culturale del tempo.
Timothée Chalamet, su cui grava il peso di incarnare il mito, offre un'interpretazione che sorprende per intensità e profondità. Il suo Dylan è distante, arrogante, enigmatico: un giovane apparentemente capriccioso, difficile da associare a chi ha scritto capolavori come Masters of War o Like a Rolling Stone. Eppure, questa complessità è il ritratto fedele di un artista che ha sempre mascherato la sua identità attraverso la musica, riflettendo le tensioni del suo tempo e anticipando, con geniale intuizione, i movimenti futuri.
Mangold sceglie un approccio atipico per un biopic musicale: l'elemento sonoro prevale sulla narrazione, quasi come in un musical. Chalamet, infatti, interpreta dal vivo molte canzoni del repertorio dylaniano, offrendo una dimensione immersiva che catapulta lo spettatore negli anni '60.
L'accuratezza storica è sorprendente: costumi, strumenti musicali, ambientazioni e persino alcune scene riproducono in maniera precisa immagini e fotografie dell'epoca.
L'arco narrativo si apre con l'arrivo di Dylan a New York nel gennaio 1961 e culmina con la controversa esibizione al Newport Folk Festival, quando l'artista si è "elettrificato", ha collegato la sua chitarra all’amplificazione di fronte a un pubblico diviso che lo contestava. Questo momento segna una frattura epocale nella musica folk, simbolo della volontà di Dylan di sfuggire a qualsiasi etichetta, anche a costo di alienarsi parte dei suoi fan dell’epoca.

Il cast di supporto merita una menzione speciale: Ed Norton è straordinario nei panni di Pete Seeger, il mitico folksinger mentore e reale scopritore di Dylan, mentre Elle Fanning dona grazia e intensità a Suze Rotolo — qui ribattezzata Silvie Russo, presumibilmente su richiesta dello stesso Dylan.
Un film importante anche per il suo potenziale – passateci il termine - pedagogico: la scelta, infatti, di affidare il ruolo di Dylan a un idolo dei giovani come Chalamet potrebbe avvicinare una nuova generazione all'universo del cantautore e, con lui, a figure iconiche come Joan Baez e Johnny Cash. Quei giovanissimi d’oggi spesso molto distanti da quel mondo musicale. Questo non è un film che racconta l’epopea vincente dell’artista che dalle cantine arriva al grande successo planetario. La scelta del regista e degli sceneggiatori è quella di concentrarsi sui primi annidi Dylan fino alla sconvolgente, per l’epoca, elettrificazione e con un finale laconico in cui il protagonista va via dal New port Festival poco quasi da perdente rispetto al contesto. Risulta vincente ai nostri occhi perché sappiamo come la storia di Dylan è poi continuata e continua fino ai giorni nostri fino al massimo riconoscimento del Nobel alla letteratura.
Un'opportunità rara dunque queso lungometraggio, per riscoprire un'epoca in cui la musica non era solo mero intrattenimento, le “visualizzazioni” non esistevano e la musica non era liquida, ma un veicolo di trasformazione sociale. Cosa che potrebbe sconvolgere )in positivo si spera) i nostri giovanissimi che non hanno avuto la fortuna di crescere in un ambiente musicale che potremmo definire consapevole.
A Complete Unknown insomma è più di un film: è un affresco vibrante di un'epoca irripetibile, un viaggio nel tempo accompagnato da una colonna sonora eseguita con una cura maniacale e un rispetto quasi reverenziale.
Un film che riesce a catturare l'essenza del mito dylaniano: un artista sfuggente, sempre un passo avanti rispetto agli altri, sempre inafferrabile. che rende omaggio alla complessità di Dylan e all'energia di un'epoca che ha cambiato per sempre la storia della musica. E, secondo i rumors, sembra che lo stesso Dylan abbia apprezzato il risultato. Se questo è vero, è già un notevole traguardo. Diremmo unico.
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