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  • di ELENA GIAMMARTINI

Made in Italy: Ligabue e un futuro da prendere in mano


Made in Italy è il titolo del concept album di Ligabue , uscito nel Novembre 2016 e da cui prende ispirazione il terzo film del cantautore/regista.

Made in Italy è una storia sulla famiglia ma anche, nelle intenzioni del suo autore, una dichiarazione d’amore per l’amicizia e per la provincia italiana.

Chi ha sentito le canzoni di Ligabue, letto i suoi libri o visto i suoi film precedenti non potrà che riconoscere quella matrice che lo contraddistingue, ovvero l’ambientazione nella provincia emiliana, le storie semplici e familiari fatte di ciò che Ligabue conosce e vive nel profondo.

La storia della nuova fatica cinematografica del rocker/regista si ambienta a Reggio Emilia e la realtà della provincia risulta essere un perfetto teatro per questo plot in cui cambiamento e tradizione, tradimento e famiglia, amicizia e solitudine si mischiano in modo naturale, come spesso accade nelle vite reali. Contraddizioni che sono ormai proprie di questo nostro paese e che spesso ci portano ad affrontare la vita in uno stato di perenne equilibrio.

La provincia descritta da Luciano Ligabue è un luogo piccolo e confortevole, forse poco stimolante e noioso, ma le semplici cose: le partite a carte del lunedi, le cene tra amici, il lavoro al salumificio tanto odiato quanto vitale per il proprio sostentamento, sono certezze.

Certezze che forse stanno strette a Riko (l'onnipresente Stefano Accorsi, attore quasi feticcio del Liga) che rifiuta di identificarsi con il proprio lavoro e che sembra vivere passivamente la propria vita. Riko così, spaventato, si chiede se davvero un cambiamento sia possibile.

Il protagonista interpretato da Accorsi vive quasi in simbiosi con gli amici di una vita: una sorta di famiglia surrogata, un clan che sembra essere a tratti una via di fuga dalla sua famiglia tradizionale.

Riko e sua moglie Sara (l'ottima Kasia Smutniak) sono una coppia stanca, che ha attraversato mille problemi e difficoltà.

Hanno apparentemente retto gli scossoni del tempo e dei drammi che la vita sa portare, ma ora sembrano aver perso ogni voglia di lottare e condividere: sono induriti e cinici, si tradiscono reciprocamente senza pensare alle conseguenze, senza una reale voglia o paura di chiudere una relazione o di ricominciare una nuova vita.

Riko e Sara quasi si vivono con inerzia e sopportazione, sono uniti dall’amore per il figlio (Tobia De Angelis) un adolescente con ambizioni artistiche, sensibile e specchio dei lati migliori dei due coniugi. Ma ancora di più sono uniti dalla cerchia di amici che li coinvolge e con cui condividono ogni momento della loro vita. Una compagnia scanzonata che permette anche alla coppia di fuggire dalla propria quotidianità, di evadere l’uno dall’altro e forse per questo di sopravviversi.

Il malessere e la rabbia di Riko si sintetizzano al meglio nel lapidario consiglio che il suo amico Carnevale gli dà : “Cambia città, lavoro, famiglia, ma soprattutto cambia te, invece di aspettarti il cambiamento…”

Già, ma che prezzo ha il cambiamento?

Il cambiamento è dolore, è la risposta.

E’ doloroso, infatti, guardare in faccia i problemi di una vita con la propria moglie.

Una donna di carattere Sara, che sembra essere stata sempre presente, seppure a conoscenza dei tradimenti del marito, ma che per questo si è indurita e spenta.

Una donna che non ha mai metabolizzato un trauma del passato, che cerca lontano dal compagno un po’ di leggerezza e calore, quello che quest’uomo ormai cinico e disilluso non sa piu’ darle.

Una donna, infine, che non si mette più in discussione e forse non l’ha mai fatto, lasciandosi trasportare anche lei dall’onda delle convenzioni.

Il cambiamento è anche accorgersi delle debolezze dei propri amici, arrivare a odiarli per questo essere fragili per poi perdonarli e perdonarsi. E’ saper riconoscere i propri “fratelli” diversi, con vizi insopportabili ma al contempo indispensabili e complementari: sono una parte di noi che quando viene a mancare fa quasi impazzire

Il cambiamento è anche fuggire lontano dalla provincia, con il rischio di perdersi e farsi del male.

Lasciare le proprie certezze, il proprio lavoro, toccare il fondo, conoscere la depressione e lottare con i propri demoni per riscoprire nuove potenzialità è il rischio del cambiamento. Uscire lontano dal proprio guscio.

Paura del cambiamento, un rischio che talvolta può far tornare vecchie fiamme e far rinascere speranze e sentimenti che sembravano ormai sfiancati.

La provincia di Made in Italy è vita quotidiana, la vita di ciascuno di noi, dunque un nido: tanto confortevole quanto vincolante, un nido da cui spiccare il volo senza pero’ schiantarsi.

Riko a sua volta sprona più volte il figlio Pietro a seguire i propri sogni, lo sprona a non farsi andare bene le cose per non farsi anestetizzare da quella “comfort zone”, ma saranno poi lui e sua moglie Sara a dover vivere ancora prima questa trasformazione nel modo più profondo ed imprevedibile, per ritrovarsi vicini seppure lontani.

Ligabue non è un regista tradizionale, e questo si nota in molti tecnicismi del film e della sceneggiatura che in alcuni punti risulta a tratti confusa e a tratti didascalica; ma è sicuramente un ottimo narratore di una realtà che ben conosce e che troppo poco spesso si vede sul grande schermo rappresentata: la realtà delle piccole città, della classe operaia, di chi vive le proprie vite con l’incubo di un futuro incerto in perenne equilibrio tra la speranza e la paura di fallire.

Ci descrive una provincia in cui vita familiare, lavorativa e sociale si mischiano: dove la semplicità e la schiettezza rendono difficile la scelta e il salto nel vuoto.

Nel film ricorrono due domande quasi come in un gioco: “Cosa ci faccio io qui?” “ Come sono arrivato fino a qui?”

Le risposte dei protagonisti sono spesso assenti o poco esaustive. Il silenzio o un'altra domanda sono spesso la risposta.

Domande di cambiamento e svolta che ciascuno di noi potrebbe ( o dovrebbe) autorivolgersi.


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