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Benjamin Clementine incanta Roma: la consacrazione di un talento prezioso

di TIZIANO AVER

Foto by Auditorium - Parco della Musica

ROMA - (Cavea - Auditoriun Parco della Musica 25/07/2017)

Lo ammettiamo. Abbiamo molto amato il disco At Least For Now di Benjamin Clementine del 2015 che ci ha fatto scoprire la sua voce incredibile, il suo stile compositivo, quel soul/gospel quasi operistico arricchito da quella vena da chansonnier, da quel suo modo emozionale di cantare che sir Paul Mc Cartney ha paragonato perfino a quello dell'inarrivabile Nina Simone.

Eravamo predisposti bene a questo concerto all'interno della rassegna "Luglio Suona Bene" dell'Auditorium parco della Musica a Roma, ma ci aspettavamo qualcosa di più romantico e dolente.

Nel senso di un concerto da lacrimoni, per cuori spezzati, malinconico, quasi depressivo, esistenzialista. Lui al piano seduto a interpretare le sue melodie, a declamare i suoi testi e noi dal pubblico a volare con l'immaginazione, ciascuno perso nel suo male di vivere.

E invece, dopo quasi due ore piene di concerto, la sensazione è quella di aver assistito a una di quelle serate che ti riconciliano con la vita e con il miracolo della musica. Una di quelle notti che segnano il punto di svolta nella carriera di un artista, la consacrazione di un musicista finora abbastanza di nicchia nel nostro paese. "It's my first time in Rome" dice emozionato Benjamin sul palco, e si può dire che mamma Roma lo ha accolto e abbracciato forse dandogli un imprimatur importante per il resto della sua, gli auguriamo lunghissima, carriera.

Il parterre della Cavea è pieno ma non la platea superiore. Circa 1500 persone quelle che hanno assistito a un show denso, ricco, molto divertente e con una artista davvero in grande forma.

Quando il cantautore inglese di origini ghanesi sale sul palco il pubblico sta ancora entrando nell'anfiteatro, in ritardo. “Italian style" esclama il Nostro sornione, e inizialmente ci sembra disturbato dai movimenti in platea e si crea un certo imbarazzo per qualche minuto. Ci viene in mente il litigioso Keith Jarrett che, e chi ha visto dal vivo lo sa bene, a chi accenna una foto rimbrotta fermando la sua esibizione: “no camera please”.

Ma Benjamin scherza e gioca col suo pubblico, e si comprenderà da subito. Parte la musica, inizia il volo delle sue dite sui tasti del pianoforte Ciampi al centro palco.

Ha appena 29 anni Benjamin Clementine, un grande carisma e già una vita densa, raccontano le cronache che ne romanzano la biografia da ex homeless diventato star, ma la maestria con la quale ha tenuto per quasi 120 minuti il palco è davvero da artista consumato. Inizio puntuale, alle 21.15, e di grande impatto con il brano “By the Ports of Europe “.

Più di un paio le canzoni che Clementine propone in anteprima dal nuovo disco I Tell A Fly in uscita a settembre e poi le altre tratte anche dai due EP che hanno preceduto la sua consacrazione internazionale del 2015: Cornerstone e Glorious.

Con lui sul palco sono tutti in tuta blu da operaio metalmeccanico e a piedi scalzi. La divisa del cantante è però arricchita da una sorta di coprispalle bianco. Solo le cinque coriste sono in total white. C'è poi un bel terzetto di musicisti che Clementine – probabilmente per l'emozione – dimentica di presentare al pubblico: un bravissimo batterista, un bassista e una sorridente e ottima polistrumentista che passa con disinvoltura dalle tastiere/synth al violoncello.

Benjamin è fisicamente alto e longilineo, un portamento regale, aristocratico, la sua voce si impenna, mentre le sue dite lunghe scorrono veloci sul pianoforte.

Basso e batteria spesso giocano con il controtempo, marcando il groove e facendo da contrappunto alle sonorità dei brani. Dal disco in prossima uscita propone i due brani che lo anticipano in questo periodo: “God Save the Jungle” e “Phantoms of Alleppoville”. Tematiche importanti e una attenzione alla poetica dei testi che sono anche di impegno civile, immersi nella contemporaneità, si parla di profughi, della Syria, della guerra e di integrazione.

Quando arriva “Condolence”, il suo brano probabilmente più celebre al pubblico italiano, sin dalle prime note l'accoglienza del pubblico è scrosciante. La coda del brano con quel refrain che recita parole importanti: “sending my condolence to fear, I sending my condolence to insecurity'”, ( “invio le mie condoglianze alla paura, invio le mie condoglianze all'insicurezza” – ndr) si trasformerà in un coro ripetuto a loop da tutta la Cavea incoraggiata da un divertente e divertito Clementine che improvvisa anche una sorta di lezione d'inglese al pubblico che lo cantava biascicandone il testo: "Lesson number one " dirà.

Ma non finisce qui, perché arriverà anche la lesson number two sulla splendida “London” dove chiede un volontario tra il pubblico per tradurre una parte del brano che vuole che il pubblico canti in perfetto inglese con lui. Alza il dito e sale sul palco – a sorpresa - Carlo Massarini che era in prima fila. Il celebre conduttore radiotelevisivo, invitato dal cantante, intona “when my preferred ways are not happening I won't underestimate” ma in italiano come chiesto da Clementine. Il pubblico della Cavea è letteralmente conquistato e il cantante lo incoraggia a cantare citando i nostri Dalla e “Raino”Gaetano.

(N.B Sulla canale Youtube di Indieland tutti i video della serata).

Nei bis entra il violoncello e il musicista anglo-ghanese al piano canta "Adios", “I Won't Complain” e “Ave Dreamer” anteprima dal nuovo disco. Sulla coda del primo brano Clementine interpreta un falsetto così acuto che a tratti sembra citare perfino Maria Callas. Arriva anche un inaspettato omaggio a Lucio Dalla, più volte citato dal Nostro anche in interviste, con il songwriter che intona l'intro e il ritornello di Caruso in (quasi) perfetto napoletanenglish.

Finale con la replica di “Phantoms of Alleppoville” e “By the Ports of Europe“ dove il ritornello che recita la parola"Portobello" nel testo viene ribattezzato giocosamente dapprima in "Portougly" e successivamente nella sua traduzione (richiesta al pubblico) "Portobrutto". ("Portobrutto is too ugly, It's very ugly scherzerà).

Il sound della band scompiglia la composta platea della Cavea, con tutti in piedi davanti a palco per il gran finale di un concerto davvero unico e un artista, un autore, Benjamin Clementine, che ha la forza e la passione degli autodidatti. Un innato e splendente dono musicale, il cui talento per esplodere aspettava solo che qualcuno se ne accorgesse. A fine show un fan ci racconta di averlo visto lo scorso anno live e che Clementine era in quell'occasione era impacciato, e tutt'altro che empatico e travolgente come in questa serata romana.

Un diamante grezzo che pian piano si sta levigando e che adesso sta venendo alla luce nel suo massimo fulgore. Sperando resti puro e che i riflettori e i lustrini che avvolgono il suo talento lascino intatto un estro frutto di un patchwork artistico e culturale davvero portentoso.

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