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2000-2025: IL GRANDE GAP DELLA MUSICA ITALIANA

  • di SIMONE MERCURIO
  • 1 day ago
  • 7 min read

Updated: 7 hours ago

Il grande vuoto: un reportage sulla falla culturale che divora il patrimonio musicale italiano degli anni Duemila


C'è un'intera generazione di artisti in Italia che rischia di cadere nell'oblio. Un vuoto culturale profondo si è aperto tra gli anni 2000 e oggi, minacciando la memoria storica di cantautori, band e artisti eclettici che hanno segnato il gusto di migliaia di persone.

Dalle colonne sonore di una generazione, come la musica de I Cani, Calibro 35, Tre Allegri Ragazzi Morti, Le luci della centrale elettrica, ma anche la musica più concettuale di Iosonouncane o l'elettrodance d'autore di Cosmo, (solo per citare i più celebri) non restano che tracce sparse e amatissime, un pubblico numeroso e appassionato nei loro live ma prive di un'archiviazione organica e di una critica strutturata, una riconoscibilità mainstream anche sui media nazionali.


Esempio lampante sono proprio la formazione di Niccolò Contessa, I Cani appunto. La band di culto è tornata con un disco dopo 9 anni di assenza e con un tour che parte a novembre che era già sold out dopo poche ore dall'annuncio. Bene, i media nazionali, i TG non hanno neanche accennato la notizia.

I Cani live: 14 settembre Roma, 1 e 2 novembre Bologna (Estragon), 11 novembre Padova (Gran Teatro Geox), 14 novembre Roma (Atlantico), 23 novembre Milano (Alcatraz), 30 novembre Venaria – TO (Teatro Concordia), 3 dicembre Firenze (Teatro Cartiere Carrara), 6 dicembre Molfetta – BA (Eremo Club), 10 dicembre Napoli (Casa della Musica). I biglietti saranno in vendita da martedì 22 aprile alle 10.
I Cani live: 14 settembre Roma, 1 e 2 novembre Bologna (Estragon), 11 novembre Padova (Gran Teatro Geox), 14 novembre Roma (Atlantico), 23 novembre Milano (Alcatraz), 30 novembre Venaria – TO (Teatro Concordia), 3 dicembre Firenze (Teatro Cartiere Carrara), 6 dicembre Molfetta – BA (Eremo Club), 10 dicembre Napoli (Casa della Musica). I biglietti saranno in vendita da martedì 22 aprile alle 10.

La cosa straniante è anche che - se si indaga anche nelle cosiddette redazioni culturali - gli stessi giornalisti musicali delle grandi testate non conoscono certi nomi. I critici musicali veri praticamente non hanno più patria in queste redazioni, o si adattano a parlare del Tananai o della Elodie di turno.


Se un tempo esistevano ed erano molto letti baluardi come Il Mucchio Selvaggio, Rockerilla e Buscadero, Blow Up (questi ultimi tre per fortuna ancora esistono!) e la radio specializzata, oggi quei contenitori non hanno un equivalente di pari peso e diffusione.

È un paradosso amaro, che si riflette nella frammentazione della fruizione musicale e nell'indebolimento del giornalismo di settore. Le radici di questo fenomeno sono complesse e si intrecciano con la trasformazione del mercato e dei media.


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Dalle cantine ai festival: un'eredità dispersa e l'assenza di un archivio


Se il passato musicale italiano ha lasciato un'eredità documentata, è anche merito di luoghi fisici e media di riferimento. Negli anni Settanta, cantine come Il Folkstudio a Roma hanno fatto da trampolino di lancio per una generazione di cantautori che avrebbero fatto la storia: da Francesco De Gregori e Antonello Venditti a Ernesto Bassignano, Rino Gaetano, Fabrizio De André, Francesco Guccini Enzo Jannacci, Claudio Lolli, Giorgio Gaber. Allo stesso modo, negli anni Novanta e Duemila, club come Il Locale di Vicolo del Fico nella capitale hanno visto nascere la "scena romana" di cantautorato, con artisti come Daniele Silvestri, Niccolò Fabi e Max Gazzè. L'importanza di questi luoghi era che non solo generavano musica, ma creavano anche comunità, lasciando una traccia fisica e sociale, documentata da fotografi e giornalisti presenti sul campo.

A questa tradizione di luoghi e circuiti si affiancavano media liberi e indipendenti. Radio Città Futura a Roma, nata dopo la liberalizzazione dell'etere nel 1976, fu un faro per la musica non allineata e una delle voci più influenti della controcultura italiana. Le radio private e quelle pubbliche offrivano una libertà editoriale oggi quasi impensabile.


Come ha raccontato il compianto Ernesto Assante in un'intervista a Kulturjam del 2020: «Le radio, sia le private sia la Rai... ti concedevano una straordinaria libertà, sceglievi tu i dischi, sempre e comunque, non c'erano le playlist, la tua personalità e le cose che dicevi contavano, non era solo intrattenimento e flusso».



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Quella libertà era l'essenza stessa di programmi come Stereonotte di Rai Radio 1, con nomi e firme del calibro di Ernesto De Pascale, Massimo Cotto, Stefano Bonagura, Federico Guglielmi, Alberto Castelli, Giuseppe Carboni, Alessandro Mannozzi, Stefano Mannucci, Giancarlo Susanna, Paola De Angelis, Teresa De Sanctis, John Vignola, lo stesso Assante che per decenni ha rappresentato un'oasi di musica di ricerca, a cavallo tra rock, jazz, blues e avanguardia, documentando con dedizione un'intera epoca.

Oggi, quella libertà si è persa nella logica delle playlist e degli algoritmi, che, pur rendendo la musica accessibile, non offrono il contesto storico e culturale di cui una scena ha bisogno per essere compresa e conservata.


La crisi della critica e la “patente di giornalista”


La critica musicale, pilastro della documentazione, è entrata in una crisi profonda. Le storiche testate cartacee hanno dovuto arrendersi alla frammentazione del mercato, riducendo spazi o chiudendo i battenti. L'arrivo di Internet ha democratizzato la possibilità di pubblicare, ma ha anche diluito il valore dell'informazione e della critica, trasformando spesso il giornalismo in un'attività non retribuita.

Come ha dichiarato in un'intervista a Lampoon Magazine del 2023 il giornalista Damir Ivic, storica firma di Blow Up e Il Mucchio Selvaggio: «Nel 2023 chiunque può ascoltare tutta la musica che vuole; la conseguenza è che tutti si sentono un po' giornalisti musicali, e facendo circolare questa patente la cosa si è deprezzata per un meccanismo puramente inflativo». Ivic lamenta il fatto che oggi «chi scrive di musica si rifà a se stesso» e che si studiano meno i maestri del passato.


L'assenza di figure di riferimento stabili e autorevoli rende la documentazione un compito ancora più arduo. E sebbene esistano ancora voci di spessore come John Vignola, che porta avanti il suo lavoro di ricerca e divulgazione su Rai Radio 1, e realtà web come OndaRock e Kalporz che continuano a documentare l'universo musicale indipendente, lo sforzo appare titanico e spesso isolato. Si è persa la "sistematicità" della critica, quell'approccio che faceva di una rivista un archivio vivente, capace di intercettare, recensire e archiviare ogni singolo album, mappando l'evoluzione di un genere.


Il dizionario come atto di resistenza

Il Dizionario dei Cantautori e Cantautrici del nuovo millennio di Michele Neri
Il Dizionario dei Cantautori e Cantautrici del nuovo millennio di Michele Neri

In questo scenario di dispersione, c'è chi ha intrapreso un cammino solitario e monumentale per dare dignità a ciò che la storia rischia di dimenticare. È il caso di Michele Neri che, con il suo "Dizionario del pop-rock italiano - Canzoni, autori, album, musicisti, etichette e festival", ha compiuto un'opera di riscoperta e catalogazione fondamentale. Neri ha cercato di riempire il vuoto lasciato dalla mancanza di un'editoria specializzata e di una critica diffusa, offrendo un archivio ragionato che non si limita ai grandi nomi, ma accoglie e celebra un'intera scena, dando voce a centinaia di artisti che altrimenti sarebbero rimasti nell'ombra. Il suo dizionario, quindi, non è solo una raccolta di dati, ma un vero e proprio atto di resistenza, un tentativo di costruire un ponte tra il passato e il futuro, documentando con metodo scientifico un patrimonio che la fluidità del web rischia di cancellare.


Era INDIE


Negli anni ’80 e ’90 in Italia dire “indie” significava evocare un mondo a parte, fatto di etichette coraggiose, fanzine ciclostilate e concerti nei centri sociali. Oggi quella parola sembra logora, consumata dall’uso: molti preferiscono parlare di “scena musicale”. Una scena che continua a rigenerarsi, attraversando generi, mode e mutazioni sociali.


Come scriveva Rumore già alla fine degli anni ’90, «non è importante definire se sia rock, pop o elettronica: è importante che sia libera, svincolata da logiche di mercato».

Dario Brunori, in un’intervista a Il Mucchio, ricordava: «L’indie in Italia non è mai stato un genere, ma un’attitudine. La differenza la faceva il modo di prodursi e di portarsi in giro la musica, non la cornice estetica». E Francesco Motta, su Blow Up, ha aggiunto: «Alla fine è solo canzone d’autore che ha trovato altre strade».


Quella che un tempo era “alternativa” oggi ha trovato spazi persino nel mainstream. Ma la tensione resta viva. Niccolò Contessa de I Cani lo disse chiaramente a Rolling Stone: «Non esiste più l’indie come recinto, ma esistono artisti che cercano un linguaggio personale. E quello non morirà mai».

Accanto a riviste come Ciao 2001, che negli anni ’70 raccontava il rock italiano nascente, testate come Rumore, Il Mucchio Selvaggio e Blow Up hanno avuto un ruolo fondamentale nel dare dignità e voce a questa galassia. Oggi, nell’epoca dei social, la funzione critica sembra meno evidente, ma la memoria di quelle pagine resta imprescindibile per capire come la scena sia cresciuta.


La "casa" del MEI di Giordano Sangiorgi


E non si può dimenticare un’altra istituzione: il MEI – Meeting delle Etichette Indipendenti, fondato da Giordano Sangiorgi a Faenza nel 1995. Da trent’anni il MEI rappresenta una delle più importanti piattaforme di incontro, promozione e scambio per la musica indipendente italiana. Migliaia di band hanno trovato lì il loro primo palco, centinaia di etichette hanno potuto presentarsi, e critici, giornalisti e addetti ai lavori hanno avuto uno spazio per confrontarsi.

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Come ha dichiarato lo stesso Sangiorgi, «il MEI è nato per dare casa a chi casa non ce l’aveva: musicisti, editori, operatori che rischiavano di restare invisibili. Oggi possiamo dire che quella casa continua a crescere, anno dopo anno». E l'edizione del MEI 2025 (Meeting delle Etichette Indipendenti) si terrà a Faenza dal 3 al 5 ottobre per celebrare i 30 anni dell'evento, la più importante rassegna della musica indipendente italiana. L'evento prevede concerti, forum, convegni, fiere e mostre, con l'assegnazione delle Targhe MEI 2025. 

Forse è proprio qui la chiave: non una definizione, ma un ecosistema. Una “scena musicale” che, pur tra contraddizioni e mode passeggere, continua a trovare il modo di sorprendere.


Una chiamata a riscoprire la memoria


Il rischio è che il lavoro di artisti che hanno riempito i club e plasmato il gusto di migliaia di persone finisca nel dimenticatoio, non adeguatamente raccontato e conservato per le future generazioni. La musica di questi artisti vive sui social media e nelle piattaforme di streaming, ma manca un archivio organico che ne celebri l'impatto culturale e la trascini al di là del successo effimero del momento.

La frustrazione è comprensibile e condivisa da molti. In un'epoca di frammentazione, la sfida non è solo quella di creare nuova musica, ma di trovare nuovi modi per raccontarla, per catalogarla e per preservare il patrimonio culturale di un'intera generazione che, altrimenti, rischia di finire nel dimenticatoio.

Forse la risposta non sta nel resuscitare il passato, ma nel costruire un nuovo modello: un archivio digitale collaborativo, alimentato da appassionati, curatori ed esperti, che possa diventare un punto di riferimento per la scena contemporanea. Un luogo dove la storia non sia frammentata ma interconnessa, dove il passato si incontri con il presente e dove la critica torni a essere non solo un commento, ma uno strumento di memoria collettiva.

 
 
 

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