“Sulla mia pelle” di Alessio Cremonini, già selezionato come film d'apertura della sezione "Orizzonti" alla 75ª Mostra internazionale del cinema di Venezia e dal 12 Settembre distribuito dalla Lucky Red contemporaneamente nelle sale cinematografiche e attraverso il servizio di streaming Netflix, racconta l’ultima settimana di vita di Stefano Cucchi: dall’arresto alla morte, avvenuta il 22 Ottobre 2009 ancora per cause da accertare.
Il film, crudo quanto emozionante, diretto quanto profondo, potrebbe essere considerato quasi un documentario, sicuramente una cronaca dei fatti di quella settimana, ancora piena di lacune e di misteri.
Cucchi e la sua famiglia, vengono fotografati per quello che sono, senza indulgiare sul pietismo, senza prendere una parte o mostrare crude scene di violenza: atti di violenza che, seppur non rappresentati apertamente, si manifestano con tutta la loro forza e le loro conseguenze irreparabili sul corpo del giovane trentenne.
Stefano è un ragazzo controverso e complesso con un passato da tossicodipendente e con piccoli precedenti penali, un passato forse non del tutto risolto. Un ragazzo che cerca di riprendere in mano la propria vita grazie soprattutto alla sua famiglia.
Ma la voglia di rinascere si mischia con la tentazione e con il “destino”, cosi’ la sera del 15 ottobre 2009, Stefano ed un amico vengono fermati dai carabinieri nel loro quartiere alla periferia di Roma.
Vengono trovati addosso a Cucchi delle dosi di hashish e cocaina; immediatamente i due vengono tradotti in caserma ma sarà Stefano ad essere accusato di spaccio e detenzione di stupefacenti: fino a qui i fatti noti.
Inizia, infatti, una lunga notte fatta di interrogatori, spostamenti, perquisizioni…con un buco di quasi un’ora in cui accade qualcosa: Stefano torna in cella dolorante, claudicante e pieno di lividi ma non dice nulla a nessuno.
Rifiuta i soccorsi, rifiuta di parlare e anche in sede di processo, il mattino dopo, accetta un avvocato d’ufficio e si professa “colpevole di detenzione ma innocente per il reato di spaccio”, senza fare menzione ad alcuna violenza subit.
Presente alla scena il padre del ragazzo (interpretato da Max Tortora, inedito in ruoli drammatici ma estremamente convincente nella sua composta tragicità) che nota le difficoltà motorie del figlio e i lividi ma non ha tempo, modo e forza per domandare.
Il silenzio di Stefano è l’inizio di una lenta agonia: le sue condizioni precipitano rapidamente, ma il suo rifiutare di parlare se non davanti al suo avvocato (che mai arrivera’ ndr) , il suo iniziale rifiuto di ricevere interventi sanitari, si accompagnano alla deferenza e indifferenza con cui poliziotti, medici e infermieri trattano il “giovane spacciatore”: quasi fosse una bestiolina che va tenuta in gabbia guardandola a vista senza “vedere” le evidenti ferite, i movimenti impediti, i lamenti e lo scadimento delle condizioni generali.
La famiglia di Stefano non riuscirà mai a vedere e a comunicare con il figlio in questi sette giorni, a causa di una burocrazia folle e confusa che non autorizza alcun contatto e non garantisce alcuna informazione.
I genitori di Stefano riconoscono la fragilità del figlio, sospettano che non sia del tutto innocente, sospettano sia ricaduto nella droga, sospettano perfino che il figlio sia stato percosso in caserma: ma come e a chi riferire che chi garantisce la legge possa aver commesso una tale infamia, soprattutto in un momento così delicato per il giovane?
Il silenzio prosegue, e si accompagna a quello di guardie e medici che hanno, loro si, contatto continuo con il ragazzo.
Gridano pero’ le TAC, le risonanze e i prelievi che mostrano evidenti traumi e lesioni interne, tra cui la frattura di due vertebre.
Tutti hanno di fronte un ragazzo ormai semiparalizzato e incapace anche di alimentarsi, ma nessuno si chiede come mai un giovane arrestato in condizioni fisiche normali sia ora un semi-vegetale.
Il silenzio di Stefano in realtà si rompe in alcune brevi occasioni: prova a denunciare goffamente l’accaduto, ovviamente non è mai creduto e realmente ascoltato, il suo stato d’animo dunque si racchiude nella risposta data ad un medico che lo spinge a parlare: ” non si fiderebbe neanche lei”.
“Fiducia,” è una parola chiave in questo film: è la fiducia vacillante dei genitori di Stefano per questo figlio così difficile, è la fiducia che riponevano nelle istituzioni che avrebbero dovuto far rispettare la legge e non brutalizzare e terrorizzare il giovane, è la fiducia persa dal giovane Cucchi che non sa a chi e quando parlare ritrovandosi chiuso in un mondo ostile e confuso…
La sorella Ilaria, interpretata da Jasmine Trinca, riferisce essa stessa che i genitori hanno riposto troppa fiducia in questo giovane: forse non era ancora pronto per una vita normale, per un lavoro ma solo per la comunità. Ilaria non crede del tutto all’innocenza del fratello, ma questa alienazione e questa anomala gestione del caso risvegliano dubbi e domande lecite sulla questione; una domanda la affligge tra tutte: “Stefano penserà che lo odiamo? In tutti questi giorni non ci ha mai visto …lui non sa dei casini per vederlo…io lo penserei”.
Le ultime ore di Stefano, sono fatte di silenzio, di parole scambiate attraverso il muro con un altro detenuto, di sussurri… di buio…di solitudine…
All’alba del 22 Ottobre , per cause non ancora del tutto note, Stefano muore .
Stefano Cucchi è il 149esimo detenuto morto nel 2009 : ve ne furono 172 quell’anno.
L’ultima tappa processuale risale al 10 LUGLIO 2017: “Il gup del Tribunale di Roma ha disposto il rinvio a giudizio dei carabinieri imputati nell'ambito dell'inchiesta sulla morte di Stefano Cucchi”…..
Ilaria e i genitori di Stefano inizieranno le note battaglie giuridiche e mediatiche nei giorni successivi il decesso…ma tutto questo è un’altra storia..
Nei panni di Stefano Cucchi vi è Alessandro Borghi, che spicca tra tutti gli attori, già perfettamente in parte : Borghi si è trasformato nel fisico e nelle movenze, la voce, le pose sono identiche a quelle del giovane romano, i suoi movimenti incerti e le posture assunte lasciano quasi percepire il dolore e la fatica che hanno consumato il “vero” Stefano nelle ultime giornate.
Borghi, dopo “Suburra”, “Napoli Velata”, “Fortunata”, continua a inanellare successi interpretando personaggi tanto diversi quanto difficili: si conferma dunque come una delle nuove promesse del cinema italiano, forse già una certezza!
“Sulla mia Pelle” racconta senza sconti questa storia: senza soffermarsi sul torto o la ragione, senza accusare apertamente seppure sia evidente cosa sia successo, ma lascia nello spettatore inquietudine, rabbia, sgomento, commozione e tante domande..
E’ un film che susciterà polemiche e disaccordi relativamente il recupero dei ragazzi tossicodipendenti, la microcriminalità e soprattutto la gestione delle carceri , la condizione dei detenuti e la certezza della pena e molto altro…molto di più..
Ma, come già lo stesso regista afferma, si tratta di un film ‘necessario’ per discutere, sicuramente, ma possibilmente per provare a comprendere.